Fedele Pietro

Professioni: Professore, professore universitario, ministro P.I.
Ambiti di produzione: Fascismo, politica scolastica, storia
Luoghi di attività: Lazio, Piemonte, Italia

Pietro Fedele nacque a Traetto (l'odierna Minturno in provincia di Latina) il 15 aprile 1873, in una famiglia di modesti agricoltori. Dopo gli studi secondari completati presso l'istituto romano dell'Apollinare, frequentò tra il 1890 e il 1894 l'università di Roma, allievo di Karl Julius Beloch e Ernesto Monaci da cui apprese la metodologia di ricerca storica e quel costume filologico ed erudito che ne avrebbe segnata la produzione scientifica. Dopo la laurea insegnò nelle scuole secondarie di Roma, Arpino, Sezze e Velletri e, nel frattempo, seguì un corso della ricostituita Scuola storica di perfezionamento, presso la Società romana di storia patria, sulla cui rivista tra il 1896 e il 1914 pubblicò i risultati delle sue ricerche.

Dopo un ulteriore periodo di docenza secondaria (licei di Potenza, Benevento e Napoli) e un comando presso la Biblioteca Vallicelliana di Roma (1903), nel 1905 vinse il concorso per la cattedra di Storia moderna all'Accademia scientifico letteraria di Milano, nel 1906 passò come professore straordinario per la stessa cattedra a Torino, ordinario dal 27 marzo 1910. Dal 20 dicembre 1914 si trasferì sulla cattedra di Storia moderna presso l'università di Roma (dal 20 aprile 1933 ricoprì anche quella di Storia medievale).

Durante la Grande guerra espresse, attraverso scritti e conferenze, i suoi sentimenti interventisti (Perché siamo entrati in guerra, 1915). Partecipò alle iniziative del comitato laziale dell'Unione insegnanti italiani, collaborando tra il 1917 e il 1919, con Giovanni Cena e Alessandro Marcucci, al «Piccolissimo», giornale della sezione propaganda del sodalizio rivolto ai giovani.

Il 6 aprile 1924, fu eletto deputato nel collegio di Sora per la lista nazionale. Nel settembre dello stesso anno aderì al fascismo. Dal 5 gennaio 1925 al 9 luglio 1928 fu ministro della P.I., reggendo il dicastero nel cuore delle polemiche sollevate nel mondo politico, culturale e accademico e scolastico dalla riforma del 1923. Critico con taluni aspetti del provvedimento (appena insediato affermò dinanzi al Consiglio superiore della P.I. che la riforma aveva dei meriti, ma anche difetti che andavano eliminati), il F. provvide ad attuare alcuni «ritocchi» che più che a snaturare il provvedimento (come temevano Giovanni Gentile e i suoi sodali e speravano gli anti idealisti) ne attenuarono alcune rigidezze.

Il primo «ritocco» avvenne durante l'esame del bilancio della P.I., nel marzo seguente, in materia di esame di Stato. Alcuni deputati si fecero portavoce del malcontento di una parte dell'opinione pubblica per l'eccessiva difficoltà di tale prova e chiesero l'organizzazione di una terza sessione d'esame per permettere ai candidati bocciati di ripetere l'esame. Il ministro F. la concesse, seppur dichiarando che era un provvedimento eccezionale e limitato all'anno scolastico in corso, scatenando la dura reazione di Gentile.

Altri motivi di preoccupazione da parte dei gentiliani si palesarono in occasione dei nuovi programmi dell'istruzione media (1926), anche se si affrettarono, a cose fatte, ad affermare che i nuovi programmi restavano fedeli allo spirito di quelli del 1923. Questi programmi manifestarono aperture verso il mondo cattolico più ampie di quelle precedenti, con l'inclusione dello studio di autori espressione della cultura cristiana in linea con un'azione ministeriale di conciliazione verso alcune aspettative della Chiesa. Fu questo l'antefatto delle successive intese raggiunte con il Concordato del 1929: significativa, in tal senso, fu la decisione di estendere i corsi facoltativi di religione istituiti nel 1924 per i soli istituti magistrali all'intero insegnamento medio.

Con il ministero F. entrarono nella scuola alcune ritualità tipiche del regime, come l'introduzione del saluto romano, il calendario fascista e il libro unico di Stato per la scuola elementare, progetto che si realizzò poi concretamente con il ministro Giuseppe Belluzzo, (l'istituzione del libro di testo di Stato fu infatti approvata dal Consiglio dei ministri il 1° novembre 1928), ma in realtà preparato fin dagli anni precedenti.

La scuola elementare rappresentò il primo laboratorio dei processi di fascistizzazione e il modello della cosiddetta «scuola serena» prospettato da Giuseppe Lombardo Radice con i programmi del 1923 venne gradualmente svuotato. Attraverso un'accorta serie di circolari si affermò l'usanza di far leggere in classe i proclami ministeriali esaltanti il Duce e la sua opera e si avviò una vera e propria apologia del regime, mediante la celebrazione degli eventi alle origini del fascismo (la marcia su Roma) o la rilettura in chiave fascista di altri (per esempio la commemorazione di Vittorio Veneto).

Altri significativi cambiamenti riguardarono il mondo degli insegnanti. Il F. sancì il principio della rappresentanza corporativa (e non più democratica) degli insegnanti attraverso il riconoscimento ufficiale della Corporazione fascista della scuola, fenomeno che determinò lo scioglimento delle preesistenti associazioni degli insegnanti. Si crearono in tal modo le condizioni propizie al controllo politico del personale in analogia con quanto stava accadendo nelle altre amministrazioni dello Stato (ved. la legge del 25 dicembre 1925).

Nel 1926 si compì il trasferimento del ministero della P.I. nell'imponente fabbricato di viale Trastevere e due anni più tardi, al termine di un lungo e difficile confronto dentro il fascismo, il F. riuscì ad avocare al ministero della P.I. le scuole e gli istituti secondari fino ad allora sotto il controllo del ministero dell'Economia nazionale retto dal Belluzzo. Ma pochi giorni dopo questa decisione, il 9 luglio 1928, il F. lasciò l'incarico ministeriale nel quale gli successe proprio il Belluzzo.

Stretto tra gli attacchi di Gentile (e dei gentiliani, in specie Ernesto Codignola) e quelli del partito, che attraverso il suo segretario Augusto Turati lamentava nel 1927 la scarsa fascistizzazione dell'università e della scuola media (mancata epurazione degli insegnanti, scarsa valorizzazione delle camice nere nella vita scolastica), il ministero del F. segnò comunque una decisa svolta nel senso dell'abbandono della tradizione liberale e del contestuale infeudamento alle politiche fasciste.

Dopo l'esperienza ministeriale il F. fu nominato senatore nel 1928 e assunse una posizione politica alquanto defilata, pur continuando a far parte di diverse commissioni governative, tra cui quella dell'educazione nazionale e della cultura popolare (17 aprile 1939-9 gennaio 1943). Negli anni '30 molte sue energie furono assorbite dalla direzione del Grande dizionario enciclopedico per conto della casa editrice Utet. Il F. morì a Roma il 9 gennaio 1943.

[Luisa Lombardi]

Fonti e bibliografia: DBI, vol. XLV, pp. 572-575.

R. Gentili, Riforma e controriforma della scuola, in «Scuola e città», 1967, n. 4-5, pp. 75-88; M. Ostenc, La scuola italiana durante il fascismo, Roma-Bari, Laterza, 1981, pp. 127-170; G. Tamborrino Orsini, Per Pietro Fedele, in «Civiltà aurunca», 1995, n. 31 (numero monografico); F. Avagliano, L. Cardi (edd.), Pietro Fedele storico e politico, Montecassino, Pubblicazioni cassinesi, 1996; J. Charnitzsky, Fascismo e scuola, Firenze, La Nuova Italia, 1999, in specie pp. 211-249; E. Conte, Pietro Fedele: intellettuale e politico, Latina, Provincia, Assessorato alla cultura, 1999; M. Galfré, Una riforma alla prova. La scuola media di Gentile e il fascismo, Milano, Angeli, 2000, pp. 9-10, 12-13, 27, 29-31, 51-52 e passim.