Aporti Ferrante

Professioni: Sacerdote, professore, funzionario ministeriale
Ambiti di produzione: Cultura religiosa, educazione infantile, educazione popolare, pedagogia, politica scolastica
Luoghi di attività: Lombardia, Piemonte, Italia

Nato il 21 novembre 1791 in S. Martino dall'Argine (Mantova), Ferrante Aporti fu ordinato sacerdote nel 1815. Studiò quindi presso il «Theresianum» di Vienna ove si perfezionò nello studio delle Sacre Scritture e delle lingue dell'Oriente biblico, conseguendo l'abilitazione all'insegnamento di queste discipline. Al ritorno in patria, nel 1819, fu docente di Storia della chiesa e di Esegesi biblica (con annesso insegnamento dell'ebraico) nel seminario di Cremona.

Affiancò agli interessi storico-religiosi una preminente attenzione alle tematiche educative e scolastiche. Nel 1821 l'A. fu nominato dal governo austriaco direttore della scuola elementare maggiore maschile di Cremona e nel 1826 insegnante di Metodica agli aspiranti maestri. Si interessò inoltre di scuole festive, dell'educazione dei ciechi e dei sordomuti, dell'istruzione dei contadini (Sull'istruzione dei contadini, 1840) e di vari istituti filantropici. Progettò un istituto tecnico agrario che fu attivato nel 1844 nel paese natale.

Formulò inoltre un progetto completo di riforma scolastica dalle scuole infantili all'università, si occupò del rinnovamento degli studi del clero e della formazione degli insegnanti (Per una migliore preparazione dei maestri elementari, 1841). Nel 1844, quando a Torino venne istituita una scuola superiore di Metodo normale, fu invitato ad inaugurarla con un corso ufficiale di lezioni (delle quali Vincenzo Troya pubblicò le sintesi sull'«Educatore primario», 1845).

Nominato senatore del Regno di Sardegna nel 1848 (ove si era trasferito per ragioni politiche) e dopo la mancata nomina ad arcivescovo di Genova (in conseguenza delle sue simpatie liberali), nel 1849 fu eletto presidente del Consiglio universitario di Torino e della Commissione permanente per le scuole statali e nel 1857 ebbe la carica d'ispettore generale degli asili della capitale sabauda. In tali vesti svolse un ruolo molto importante nel definire gli assetti scolastici piemontesi dopo le riforme legislative del 1848.

In questa varietà e molteplicità di impegni l'A. testimoniò la sua fedeltà al cristianesimo, alla quale si collegano la sua carità educativa, la condivisione delle aspirazioni unitarie della coscienza nazionale, la volontà di soddisfare i bisogni della società e di rinnovarla, innalzando la dignità di ogni uomo con la certezza che l'educazione è l'unico rimedio capace di sanare le piaghe morali del popolo.

Questa convinzione sorregge la sua pedagogia che mira direttamente all'azione e si caratterizza per l'attenzione rivolta alla conoscenza dell'uomo e delle sue facoltà, per la sua fedeltà alla concezione cristiana dell'essere umano, alla quale si collegano l'individuazione dei fini dell'educazione e l'elaborazione del suo metodo educativo (Elementi di pedagogia, 1847).

Il nome dell'A. è, in ogni caso, collegato soprattutto all'esperienza degli asili infantili da lui aperti in Cremona a partire dal 1828 nella convinzione che i bambini avessero una particolare «attitudine per imparare» e che le prime impressioni e le prime idee «instillate fin dalla più tenera età sono indelebili». La fondazione dei suoi asili, aiutata anche dalla conoscenza del metodo dell'Infant School di Samuel Wilderspin, aveva inoltre lo scopo, in specie per gli asili di carità, di impedire lo sviluppo nell'animo dei bambini dei germi viziosi mutuati dalla povertà morale e materiale dell'ambiente sociale.

Le scuole aportiane ospitavano bambini dall'età di 2 anni e ½ ai 6 anni, generalmente distribuiti in tre sezioni, che prevedevano la presenza di tre insegnanti o di due assistenti e una maestra, per la cui formazione l'A. predispose appositi testi (Manuale di educazione ed ammaestramento per le scuole infantili, 1833; Catechismo per l'infanzia, 1833; Guida per le scuole infantili di carità, 1836). Nelle tre sezioni venivano impartiti insegnamenti differenziati di educazione intellettuale e religiosa, mentre le attività relative all'educazione fisica ed a quella morale «erano comuni a tutti gli alunni».

La giornata scolastica pertanto si articolava in vari momenti, alcuni dei quali erano destinati alle marce, ai canti e a tutti gli esercizi che non rientravano direttamente nell'insegnamento, che era effettuato con il metodo dimostrativo, il quale chiedeva alle maestre di mostrare gli oggetti, di farli osservare attentamente, di dirne il nome, di farlo ripetere «in circolo». L'insegnamento della «numerazione» prevedeva «il sussidio dell'apparecchio a palline» e l'applicazione delle operazioni di aritmetica «a cose sensibili»: per l'educazione religiosa venivano utilizzate le «spampe».

Purtroppo, nonostante le buone intenzioni dell'A. e la sua attenzione per la qualità della didattica, il numero eccessivo di bambini accolti nelle sezioni, la ripetizione da parte delle maestre di domande precostituite alle quali gli alunni rispondevano in coro e l'anticipazione del leggere e dello scrivere conferirono agli asili aportiani un carattere scolasticistico e didatticistico. Tuttavia è doveroso riconoscergli il merito di aver superato i limiti dell'assistenzialismo, di aver dato vita alle prime scuole per i bambini del nostro Paese e di aver contribuito con il suo esempio e con la divulgazione della sua esperienza alla fondazione di numerosi asili ed a costruire le basi della pedagogia dell'infanzia italiana. L'A. morì a Torino il 20 novembre 1858.

[Serenella Macchietti]

Fonti e bibliografia: le carte dell'A. sono disperse in varie sedi: Biblioteca dell'Università pontificia salesiana, Roma, fondo librario Gambaro; le sedi cremonese e mantovana dell'Archivio di Stato; l'INDIRE, Firenze; l'Accademia delle scienze, Torino e l'Archivio storico del Museo del Risorgimento, Milano; A. Gambaro, Ferrante Aporti e gli Asili nel Risorgimento. Documenti, memorie, carteggi, Torino, presso l'autore, 1937.

DBI, vol. III, pp. 605-609; EP, vol. I, cc. 769-774; MC, vol. I, pp. 67-71; PE, pp. 32-36; necrologio in «L'Istitutore», 1858, n. 49, pp. 769-772; G. Marchesini (ed.), Dizionario delle scienze pedagogiche, Milano, Società editrice libraria, 1929, vol. I, pp. 97-98; M.F. Sciacca, Enciclopedia italiana della pedagogia e della scuola, Milano, Curcio, 1969, pp. 134-135.

A. Gambaro, Aportiana, Torino, Vogliotti, 1939; A. Gambaro, G. Calò, A. Agazzi, Ferrante Aporti nel primo centenario della morte, Brescia, Centro didattico nazionale per la scuola materna, 1962; M. Sancipriano, S.S. Macchietti (edd.), Scritti pedagogici e lettere, Brescia, La Scuola, 1976; C. Sideri, Ferrante Aporti. Sacerdote italiano, educatore, Milano, Angeli, 1999; M. Piseri, Ferrante Aporti nella tradizione educativa lombarda e europea, Brescia, La Scuola, 2008; R. Lanfranchi, Il metodo aportiano nella pedagogia salesiana, in «Rivista di scienze dell'educazione», 2009, n. 3, pp. 452-471.