De Vecchi Cesare Maria

Professioni: Ministro P.I., uomo politico
Ambiti di produzione: Fascismo, politica scolastica
Luoghi di attività: Piemonte, Italia

Cesare Maria De Vecchi nacque in Casale Monferrato (Alessandria) il 14 novembre 1884. Dopo il conseguimento della laurea in Giurisprudenza nel 1906, si dedicò all'attività forense che esercitò a Torino nei primi anni del secolo. Partecipò come ufficiale alla Grande guerra e, come riconoscimento del suo valore, nel 1925 gli fu conferito dal sovrano il titolo di conte di Val Cismon dal nome della località teatro delle sue imprese.

Cattolico militante e monarchico di stretta osservanza, aderì al fascismo fin dal 1919, nonostante che il movimento di Mussolini si connotasse ancora in senso anticlericale e antimonarchico. Promosse il fascio torinese da posizioni conservatrici («tutto vecchio Piemonte, tutto Monarchia, tutto Re e Patria», così fu definito dallo storico Gioacchino Volpe), organizzando le squadre punitive che portarono violenza e morte in molte zone del Piemonte e in particolare a Torino, ove fu uno dei responsabili dei fatti del 18 dicembre 1922 quando furono uccisi numerosi antifascisti. Qualche mese prima era stato uno dei quattro quadrumviri a capo della marcia su Roma.

Senatore dal 1925, non fu mai in buoni rapporti con Mussolini che lo considerava incapace di attività di governo. Questo spiega il suo cursus honorum alquanto lontano dalla politica attiva: fu dapprima governatore in Somalia (1923-1928), poi ambasciatore d'Italia presso la S. Sede (1929-1935) e, dopo la breve parentesi come ministro dell'Educazione Nazionale (1935-1936), governatore del Dodecanneso (1936-1943).

Il D.V. subentrò in viale Trastevere al ministro Francesco Ercole nel rimpasto ministeriale del 24 gennaio 1935. Nell'Italia avviata verso l'impresa d'Etiopia, anche la scuola doveva allinearsi al clima bellicoso dell'imperialismo fascista. Mussolini ritenne il D.V. l'uomo adatto per accelerare il processo di fascistizzazione della scuola italiana. Le iniziative intraprese in tal senso dal nuovo ministro si svolsero in due principali direzioni: una «riguardò soprattutto le forme esteriori della vita della scuola e portava il segno del militarismo e del caporalismo cari al quadrumviro; l'altra si manifestò, attraverso riforme legislative e amministrative, nella soppressione di ogni autonomia della scuola e del suo totale assoggettamento allo Stato fascista» (Ostenc, p. 215).

L'ex quadrumviro riordinò l'amministrazione scolastica allo scopo di ricondurre la scuola alla completa centralizzazione: ripristinò i provveditorati provinciali, ridusse il ruolo del Consiglio superiore dell'Educazione Nazionale, riorganizzò i servizi ispettivi con una forte accentuazione dei compiti di vigilanza e disciplinari e ricondusse tutto il sistema della formazione superiore all'interno delle università. Promulgò infine nuovi programmi d'insegnamento dai contenuti fortemente ideologizzati che prevedevano, tra l'altro, l'introduzione della cultura militare. Il suo proposito di fare del Ministero il centro di fascistizzazione della gioventù italiana si scontrò tuttavia con quanti come, ad esempio, Achille Starace erano invece favorevoli al rafforzamento delle organizzazioni giovanili del partito in funzione della formazione dell'«italiano nuovo».

Il nome del D.V. è legato anche ad altre vicende relative ai rapporti tra mondo cattolico, fascismo e questioni educative. In qualità di ambasciatore presso il Vaticano ebbe parte nelle vicende del 1931 sul ruolo della Chiesa nell'educazione della gioventù e seguì con particolare impegno – ciò di cui i Salesiani gli furono sempre grati – la vicenda della canonizzazione di don Bosco, figura giudicata esempio di «santità italiana» per eccellenza. Lo stesso D.V. tenne il discorso ufficiale in Campidoglio, a Roma, per la celebrazione laica dell'evento (aprile 1934).

Nel Gran Consiglio del 25 luglio 1943 il D.V. si schierò a favore dell'ordine del giorno Grandi. Ricercato dai fascisti della Repubblica Sociale perché condannato a morte nel processo di Verona e dagli antifascisti, fu protagonista di una drammatica fuga che lo portò dapprima in varie parti d'Italia, nascosto in istituti salesiani, e, finita la guerra, in Argentina. Rientrato nel 1949 in Italia, morì a Roma il 23 giugno 1959.

[Giorgio Chiosso]

Fonti e bibliografia: C.M. De Vecchi di Val Cismon, Bonifica fascista della cultura, Milano, Mondadori, 1937.

DBI, vol. LIX, pp. 522-531.

R. Gentili, Giuseppe Bottai e la riforma fascista della scuola, Firenze, La Nuova Italia, 1979, pp. 1-3, 8, 46 e 131-132; M. Ostenc, La scuola italiana durante il fascismo, Roma-Bari, Laterza, 1981, pp. 214-227; L. Romersa (ed.), Il quadrumviro scomodo. Il vero Mussolini nelle memorie del più monarchico dei fascisti, Milano, Mursia, 1983; P. Stella, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica, Roma, Las, 1988, pp. 244, 257, 262, 264-266 e 268; J. Charnitzsky, Fascismo e scuola. La politica scolastica del regime (1922-1943), Firenze, La Nuova Italia, 1996, pp. 118, 132, 227, 316-317, 356 e passim.