Cesca Giovanni

Professioni: Professore, professore universitario
Ambiti di produzione: Filosofia, pedagogia, politica scolastica
Luoghi di attività: Friuli Venezia Giulia

Nato a Trieste il 7 gennaio 1858, Giovanni Cesca frequentò, come molti altri triestini del suo tempo, le università di Vienna e di Graz e completò gli studi all'ateneo di Padova, dove si laureò in Lettere nel 1879, con successivo perfezionamento a Firenze e a Zurigo. Dopo alcuni anni di docenza nelle scuole secondarie (Palermo, Treviso, Arezzo), divenne ordinario di Storia della filosofia nell'università di Messina (1891) e, sempre in quell'ateneo, ricoprì l'incarico di preside della facoltà di Lettere. Uomo di larga cultura, condusse i suoi studi in vari campi (va segnalato quello storiografico con diverse pubblicazioni sulla storia triestina e istriana apparse tra il 1880 e il 1888), ma il binomio filosofico-pedagogico rimase un suo interesse prioritario.

Fu studioso di filosofia morale (Filosofia dell'azione, 1907) nonché di singoli pensatori come Hobbes e Leibniz. Conosceva bene Spencer, Stuart Mill, Angiulli, ma anche De Domincis, Gabelli, Ardigò e Wundt. Più che della temperie positivista con la quale era stato chiamato a confrontarsi, il suo pensiero fu debitore del criticismo kantiano, assimilato nel corso dei suoi studi viennesi e rafforzato a contatto con i neokantiani italiani (in particolare Felice Tocco e Carlo Cantoni, Storia e dottrina del criticismo, 1884) e dall'influenza neocritica del Renouvier.

Sensibile alle ragioni dello spiritualismo cristiano, si confrontò inoltre con l'idealismo e l'evoluzionismo, sempre attento però a segnalarne i limiti. Sostenne il socialismo umanitario, ma avversò il collettivismo di Marx ed Engels, perché «predicando l'odio di classe si può distruggere il capitalismo ma non costruire qualcosa di buono e duraturo». Entro questi orizzonti elaborò la sua pedagogia, il campo in cui espresse forse meglio la sua originalità con numerosi saggi: L'educazione del carattere (1888), Dell'educazione morale (1891), Pedagogia e pedologia (1902), Le antinomie psicologiche e sociali della educazione (1906), Guida allo studio della pedagogia (1907), Cultura e istruzione (1907), Religiosità e pedagogia moderna (1908).

Nella sua opera principale, Principii di pedagogia generale (1900, ripubblicato nel 1990), il C. sostenne che la pedagogia è una scienza pratica e l'educazione altro non deve fare che applicare l'arte maieutica di Socrate. L'azione educativa «non crea nulla, ma si avvale di mezzi e strumenti per far emergere le capacità innate dell'individuo, in modo da superare gli ostacoli dell'ambiente fisico e culturale».

Entrando più nel dettaglio, l'educazione infantile doveva stimolare l'intelligenza e l'iniziativa del bambino senza limitarsi a manifestazioni affettive e risolversi in forme ludiche. Espresse perciò dubbi sul metodo fröbeliano che gli appariva «meccanicistico e coattivo». Dell'Herbart condivise il principio dell'«istruzione educativa», ma criticò la frammentazione degli insegnamenti che riteneva diseducativa e segnalò i limiti di «un'educazione intellettuale che da sola non può in alcun modo rinforzare il carattere [...] né il controllo della volontà sulle nostre azioni». Infine negava che tra istruzione e lavoro ci fosse contrapposizione e sosteneva un insegnamento dai tratti politecnici.

Il C. scrisse articoli su questioni universitarie e scolastiche tra cui La forma dell'insegnamento universitario (in «L'Università italiana», 1892, nn. 5-6), I corsi filosofici nelle università germaniche (in «Rivista filosofica», 1899, n. 3) e L'insegnamento della pedagogia nelle scuole normali (1900). Con il volume La scuola secondaria unica. Principii di didattica generale dell'insegnamento secondario (1902) entrò nel dibattito sulla riforma dell'istruzione media, prospettando l'ipotesi della sua unicità e superando la tradizionale distinzione tra scuola classica e scuola tecnica, così da realizzare maggiore uguaglianza sociale e risolvere il problema dell'anticipo delle scelte.

Si dichiarò inoltre favorevole alla partecipazione delle famiglie alla vita della scuola e auspicò che le università assicurassero una preparazione pedagogica a tutti i futuri insegnanti, completata da «esercizi pratici e da un tirocinio sull'arte di insegnare». Il C. morì tragicamente a Messina insieme alla moglie ed al figlio, il 28 dicembre 1908, nel terremoto che distrusse la città.

[Claudio Desinan]

Fonti e bibliografia: ACS, Roma, Ministero P.I., Direzione Generale Istruzione Superiore, Fascicolo personale insegnante (1900-1940), II versamento, I serie, b. 32.

DBI, vol. XXVI, pp. 233-235; EP, vol. II, cc. 2528-2521; PE, p. 133.

S. Caramella, Studi sul positivismo pedagogico, Firenze, ediz. La Voce, 1921, pp. 152-162; G. Vidari, Il pensiero pedagogico italiano nel suo sviluppo storico, Torino, Paravia, 1924, p. 130; A. Campanelli, Il pensiero filosofico e pedagogico di Giovanni Cesca, Mirandola, Tip. Grilli, 1942; F.M. Bongioanni, Il positivismo pedagogico, in Questioni di storia della pedagogia, Brescia, La Scuola, 1963, pp. 710-711; E. Petrini, Giovanni Cesca (1858-1908). Un pedagogista d'avanguardia dimenticato, Milano, Vita e pensiero, 1979.