Cantù Cesare

Professioni: Professore, scrittore
Ambiti di produzione: Educazione e istruzione popolare, letteratura per l'infanzia, movimento cattolico, storia
Luoghi di attività: Lombardia, Italia

Nato il 5 dicembre 1804 da una modesta famiglia di commercianti a Brivio, piccolo centro della Brianza, Cesare Cantù, fratello maggiore di Ignazio, si trasferì presto a Milano per compiere gli studi ginnasiali presso l'ex collegio dei Barnabiti di S. Alessandro. Talune giovanili manifestazioni di dissenso politico nei riguardi del governo gli preclusero, negli anni seguenti, l'accesso all'università, costringendolo a cercarsi un'occupazione.

Nel 1821 accettò un incarico come supplente di Grammatica nelle scuole ginnasiali di Sondrio, dove divenne professore di ruolo tre anni più tardi ed esercitò l'insegnamento fino al 1827. In questi anni, grazie alla ricca biblioteca dell'istituto, il giovane insegnante poté ampliare la sua formazione culturale e approfondire in particolare gli studi storici.

Fu proprio in questa fase che si manifestò nel C. la passione per la narrazione storica destinata ad accompagnarlo in seguito e a segnare tanta parte della sua produzione editoriale. A partire dall'opera giovanile Storia della città e diocesi di Como (1829-1831) si ritrovano già elementi caratteristici del suo approccio storico, poi sviluppati negli scritti maggiori: la predilezione per la società tradizionale di Antico Regime e per la dimensione municipale e locale, il particolare significato civilizzatore attribuito al ruolo esercitato dalla Chiesa e dalla morale cattolica, la valenza pedagogica attribuita alla narrazione storica e alla ricostruzione del passato.

Tornato a Milano e divenuto, nel 1832, professore nel suo antico ginnasio, il C. pose mano a una serie di opere di storia locale della Lombardia destinate a farne conoscere e apprezzare la vigorosa vena narrativa, ma anche a rivelare le sue scarse simpatie, sul piano ideologico e politico, tanto per l'indirizzo centralistico e la soffocante burocrazia caratteristici dell'amministrazione austriaca, quanto per le idee liberali e democratiche che ispiravano larga parte della cultura milanese e lombarda del tempo.

In realtà, il suo sostanziale isolamento ideologico e culturale non valse a preservarlo dal sospetto che anch'egli fosse coinvolto con le trame e le cospirazioni antiaustriache architettate a Milano, al principio degli anni '30, dai circoli mazziniani della Giovine Italia, tant'è che, pur senza subire una condanna, egli fu trattenuto in carcere per quasi un anno, dalla metà di novembre del 1833 fino ai primi di ottobre del 1834.

Costretto a lasciare definitivamente l'insegnamento nelle scuole pubbliche, il C. si dedicò a tempo pieno all'attività giornalistica e letteraria, divenendo apprezzato consulente di alcuni editori milanesi e redattore e collaboratore di periodici e riviste culturali, nonché autore di opere di successo come attestano, fra l'altro, le innumerevoli riproduzioni non autorizzate dei suoi libri ad opera in specie di tipografi ed editori del Meridione. Tra il 1836 e il 1837 egli diede alle stampe i racconti Il Carlambrogio di Montevecchia (1836, 1899, 22a ediz.) e Margherita Pusterla, storia milanese del secolo XIV (1836, 1879, 39a ediz.) e la trilogia di operette educative per l'infanzia e per il popolo: Il giovinetto drizzato alla bontà, al sapere, all'industria (1837), Il galantuomo. Libro di morale popolare (1837) e Il buon fanciullo. Racconti d'un maestro elementare (1837), usate spesso come libri di lettura nelle scuole elementari e popolari.

La proposta educativa da essi veicolata si proponeva d'instillare «nelle menti e nei cuori» dei fanciulli e giovanetti i valori dell'onestà e della rettitudine, l'amore per il lavoro, l'ossequio alla religione, il rispetto delle leggi e dell'autorità costituita, la frugalità dei costumi e il rifiuto degli eccessi, nonché l'accettazione rassegnata della propria condizione sociale. Princìpi e valori che il C. ripropose senza soluzione di continuità nei tanti articoli apparsi su numerosi periodici educativo-popolari e scolastici a cui collaborò nei decenni successivi.

Su invito dell'editore torinese Giuseppe Pomba, egli poté tornare a dedicarsi ai prediletti studi storici, compilando quella Storia universale in 18 volumi (1838-1846) che si sarebbe rivelata «forse la più fortunata speculazione editoriale dell'800 italiano, e l'opera storica certo più letta e consultata per un cinquantennio in Italia». A essa avrebbero fatto seguito altre due opere storiche di grande respiro, destinate a consolidare la notorietà dello scrittore lombardo: la Storia di cento anni (1851) e la Storia degli italiani. Dai primi abitatori della nostra penisola fino ai nostri tempi (1854).

Per contro, la sottesa polemica contro la storiografia di matrice illuministica e liberale che alimentava la ricostruzione storica offerta dal C., il suo sostanziale rifiuto dello Stato moderno e del centralismo politico e istituzionale scaturito dalla rivoluzione francese e dall'esperienza napoleonica, la predilezione per i modelli propri della società tradizionale attirarono sullo scrittore brianzolo le accuse di clericalismo e di conservatorismo politico e sociale, alienandogli le simpatie della gran parte degli intellettuali del progressismo liberale.

Le vigorose posizioni critiche da lui assunte nei riguardi del governo austriaco lo costrinsero, nel gennaio 1848, ad abbandonare in grande fretta Milano, per non essere nuovamente incarcerato, e a trovare rifugio a Torino, dove peraltro la sua battaglia in favore dell'autonomismo municipale lombardo e la crescente diffidenza manifestata nei riguardi delle mire egemoniche sabaude lo condannarono a una sorta di isolamento politico. Trasferitosi in seguito in Svizzera, dopo i moti del 1848 rientrò a Milano, dove ottenne la nomina a segretario dell'Istituto lombardo e iniziò a collaborare con il viceré Massimiliano d'Asburgo.

Eletto una prima volta deputato nel marzo 1860 in un collegio elettorale di Bergamo, nell'autunno del 1865 il C. tornò nuovamente a sedere sui banchi della Camera, dove, assieme a Vito d'Ondes Reggio, rappresentò l'opposizione clericale e conservatrice. Nominato nel 1873 direttore dell'Archivio di Stato di Milano, diede mano all'ultima sua grande opera storica: Della indipendenza d'Italia, Cronistoria (1872-1877).

Il prevalere dopo il 1870 dei nuovi orientamenti pedagogici e didattici di matrice laica e positivistica nelle scuole italiane e l'affermarsi, nell'ambito della pubblicistica educativa e popolare, del filone self-helpista lo spinsero altresì a dedicarsi nuovamente all'educazione dell'infanzia e delle classi popolari. Affidò infatti alle stampe una ulteriore serie di fortunate operette che incontrarono nuovamente buona fortuna nell'ultima fase del secolo XIX anche nel circuito delle scuole elementari e popolari (Portafoglio d'un operajo, 1871; Attenzione! Riflessioni di un popolano, 1876 e Esempi di bontà. Libro di Lettura e di premio, 1885), nei quali in forme aggiornate e accattivanti, il C. ripropose la propria visione sociale ed etica. Il C. morì a Milano l'11 marzo 1895.

[Roberto Sani]

Fonti e bibliografia: Biblioteca civica, Bergamo, fondo Manoscritti, archivio Cantù; Biblioteca Ambrosiana, carte Cantù; ACS, Roma, Ministero P.I., fondo Personale, f. Cantù; AS, Milano, Autografi, b. 118; carteggi del C. si trovano in fondo Manoscritti della Biblioteca nazionale centrale di Firenze, della Biblioteca del Museo centrale del Risorgimento di Roma, della Biblioteca estense di Modena e della Biblioteca civica di Forlì; A. Vismara (ed.), Bibliografia di Cesare Cantù, Milano, Bernardoni Rebeschini, 1896; Lettere inedite di Cesare Cantù, pubblicate e annotate da Adolfo Mabellini, Bologna, Zanichelli, 1906.

DBI, vol. XVIII, pp. 336-344; DEP, vol. I, p. 346; EIPS, vol. I, p. 358; EP, vol. II, cc. 2196-2201; PE, pp. 111-112; SPES, nn. 62, 399, 411 e 647.

E. De Marchi, Cesare Cantù educatore, Milano, Galli e Raimondi, 1891; L.M. Billia, Cesare Cantù. La sua opera, il suo carattere, Milano, Galli, 1895; G. Tamburini, Cesare Cantù. Biografia, Firenze, Ricci, 1895; G. Molteni, La figura politica di Cesare Cantù, Firenze, Edit. Della Rassegna Nazionale, 1901; P. Manfredi. Cesare Cantù. La biografia ed alcuni scritti inediti o meno noti, Torino, Unione Tipografico-Editoriale, 1905; B. Croce, Storia della storiografia italiana nel secolo decimonono, Bari, Laterza, 1947, vol. I, pp. 197-207; F. De Sanctis, La scuola cattolico-liberale e il Romanticismo a Napoli, Torino, Einaudi, 1953, pp. 213-245; F. Traniello, Don Tazzoli e la «Storia universale» del Cantù, in «Rivista di storia della Chiesa in Italia», 1964, pp. 254-289; M. Berengo, Cesare Cantù scrittore autobiografico, in «Rivista storica italiana», 1970, pp. 714-735; F. Della Peruta, C. Marcora, E. Travi (edd.), Cesare Cantù nella vita italiana dell'Ottocento, Milano, Mazzotta, 1985; Istituto lombardo-Accademia di Scienze e Lettere, Cesare Cantù e il suo tempo, Milano, Istituto lombardo, 1996.