Boncompagni di Mombello Carlo

Professioni: Avvocato, uomo politico, ministro P.I., professore universitario
Ambiti di produzione: Educazione infantile, pedagogia, politica scolastica, stampa pedagogica e scolastica
Luoghi di attività: Piemonte, Italia

Carlo Boncompagni di Mombello nacque a Torino il 25 luglio 1804 da Ludovico e Sara Pastoris, figlia di un'inglese convertita al cattolicesimo. L'ambiente familiare esercitò una profonda influenza sulla formazione del giovane: la madre incarnava un modello di religiosità aperto e tollerante; il padre, magistrato in epoca napoleonica, era un cultore della libertà, animato dalla ricerca di un sapere critico e autonomo. Significativa fu anche la figura dello zio Tommaso Pastoris di Saluggia che, coinvolto nei moti del 1821, avvicinò Carlo ai temi della politica.

Prematuramente orfano, il giovane B. frequentò le scuole pubbliche, integrando le conoscenze scolastiche con uno studio da autodidatta, frutto di letture delle opere dei maggiori illuministi francesi. Laureatosi in Giurisprudenza nell'ateneo torinese, esercitò l'avvocatura fino alla nomina, nel 1843, a giudice della Suprema corte del Regno per le province piemontesi. Le esperienze maturate nell'alveo domestico, l'accostamento ai philosophes e il rapporto di amicizia con il teologo Giulio Sineo furono all'origine del suo orientamento cattolico liberale che, volto a promuovere l'immagine di un cristianesimo disponibile a riconoscersi nella società moderna, si poneva in termini critici nei confronti delle scelte operate dalla gerarchia ecclesiastica del tempo.

Proprio l'idea della religione come elemento vivificatore del consorzio umano e civile pervase il costante impegno del B. in favore del miglioramento delle condizioni di vita delle classi popolari secondo una visione del bene che oltrepassava i confini della semplice assistenza. Gli asili infantili, ad esempio, di cui si fece promotore nel 1839 insieme a un ristretto gruppo di laici e sacerdoti, erano immaginati come luogo di accoglienza, di educazione e di istruzione, finalizzati a garantire, oltre a un beneficio materiale e a un habitus etico, l'acquisizione dei rudimenti del sapere (il B., che aveva letto le opere di madame Necker de Saussure, era in contatto con alcuni tra i più autorevoli pedagogisti del suo tempo, come padre Grégoire Girard, Raffaello Lambruschini e Ferrante Aporti).

A queste tematiche il nobile piemontese dedicò alcuni scritti (Delle scuole infantili, 1839; Saggio di lezioni per l'infanzia, 1851) e numerosi articoli pubblicati sulle riviste dirette da Lorenzo Valerio («Letture popolari» e «Letture di famiglia», SPES, nn. 635 e 634) e sull'«Educatore primario» («L'Educatore» dal 1847, ivi, n. 421).

Ministro dell'Istruzione nel primo governo costituzionale guidato da Cesare Balbo e in quello successivo presieduto dal Perrone, legò il suo nome alla riforma del sistema scolastico subalpino che si sostanziò in due principali provvedimenti. Il regio decreto 4 ottobre 1848, approvato in regime di pieni poteri, sancì il passaggio delle scuole di ogni ordine e grado alle dipendenze del ministero della P.I., istituito l'anno precedente, ponendo fine ai privilegi concessi al clero in tale ambito (esonero dagli esami di abilitazione e assenso alla nomina dei maestri elementari, dei direttori spirituali, dei professori di teologia).

Consapevole dell'importanza di una capillare diffusione dell'alfabeto non solo ai fini di assicurare il benessere economico, ma anche in prospettiva dell'auspicata unificazione nazionale, il B. si batté perché l'intero settore rientrasse nelle competenze dirette dello Stato. Questa volontà non si tradusse tuttavia nell'adozione di un sistema centralistico: era infatti prevista una serie di consigli, composti anche da rappresentanti delle autorità locali e del corpo docente (la Nazione non era identificata tout court con lo Stato).

Con un secondo decreto emanato nella stessa data fu prevista la istituzione di sei collegi convitto nazionali sostitutivi di altrettanti collegi fino ad allora gestiti dai Gesuiti, destinati, nelle intenzioni del B., a rappresentare un modello pedagogico-didattico da estendere, in una fase successiva, a tutte le scuole del regno. Le principali novità riguardavano l'ampliamento a quattro anni del corso elementare e l'avvio di un corso speciale rivolto a quanti non intendevano acquisire un titolo d'istruzione superiore.

La bocciatura alla Camera di una proposta di regolamento disciplinare universitario volto a limitare la libertà di associazione degli studenti decretò, il 4 ottobre 1848, la caduta dell'esecutivo. Il B. ritornò alla politica attiva qualche anno più tardi, nel secondo gabinetto d'Azeglio (21 maggio-4 novembre 1852) in qualità di ministro di Grazia e giustizia (reggente ad interim della P.I.), incarico che mantenne anche nel successivo governo Cavour (4 novembre 1852-27 ottobre 1853).

Dal 1853 e per tre anni il B. presiedette la Camera; nel 1856 accettò la designazione a ministro plenipotenziario piemontese presso le corti di Toscana, Modena e Parma; fu quindi governatore delle province dell'Italia centrale dal 3 dicembre 1859 al 20 marzo 1860, vigilia del plebiscito.

Deputato quasi ininterrottamente dalla prima all'XI legislatura, ottenne la nomina a senatore nel 1874. Nel periodo postunitario il B. si segnalò per numerosi interventi sul tema dei rapporti tra Stato e Chiesa, interprete di una posizione moderata ed equidistante tra il rispetto del potere temporale del pontefice da un lato e la rivendicazione, dall'altro, di un modello di Stato accentratore, lesivo della libertà degli enti locali, delle associazioni e dei privati cittadini. In particolare professò un atteggiamento conciliatorista nella commissione incaricata di predisporre il progetto di legge sulle guarentigie e, in altro contesto, espresse parere contrario all'abolizione delle facoltà teologiche nelle università; discorsi e scritti che confluirono nel volume La Chiesa e lo Stato in Italia. Studi (1866).

Docente di Diritto costituzionale nell'ateneo torinese, fu designato nel 1878 vicepresidente dalla Società subalpina di storia patria, attestato di una stima non circoscritta ai soli ambienti culturali piemontesi (dal 1875 fu infatti socio nazionale dell'Accademia dei Lincei di Roma). Il B. morì a Torino il 14 dicembre 1880.

[Maria Cristina Morandini]

Fonti e bibliografia: carte e lettere del B. sono conservate in AS e presso il Museo del Risorgimento di Torino; altra documentazione in Archivio storico del Ministero degli Affari Esteri e presso il Museo centrale del Risorgimento, Roma; per gli scritti del B. cfr. A. Manno, L'opera cinquantenaria della R. Deputazione di storia patria di Torino, Torino, Fratelli Bocca, 1884, pp. 188-192.

DBI, vol. XI, pp. 695-703; EP, vol. I, cc. 1889-1892; PE, p. 79; SPES, nn. 421 e 634-635; T. Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale, Terni, Tip. Dell'Industria, 1890, pp. 144-146.

C. Parrini, Carlo Boncompagni, Torino, Unione tipografica editrice, 1864; L. Amedeo di Lamporo, Della vita e delle opere di Carlo Boncompagni di Mombello, Milano, Vallardi, 1882; A. Parato, La scuola pedagogica nazionale, Torino, Botta, 1885, pp. 54-74; G. Vidari, Lettere di piemontesi a Ferrante Aporti nel periodo 1838-1849, in «Atti della Regia Accademia delle scienze di Torino», 1926-1927, pp. 650-708; A. Gambaro, Ferrante Aporti e gli asili nel risorgimento, Torino, presso l'autore, 1937, vol. II, pp. 214-222, 396-409 e 526-528; M.C. Morandini, Educazione, scuola e politica nelle «Memorie autobiografiche» di Carlo Boncompagni, Milano, Vita e pensiero, 1999; Ead., Scuola e nazione. Maestri e istruzione popolare nella costruzione dello Stato unitario (1848-1861), Milano, Vita e pensiero, 2003, pp. 20-25, 43-44, 64-77, 154-155, 234-236 e 243; M. Bacigalupi, Una scuola del Risorgimento. I Collegi Convitti Nazionali del Regno Sardo tra progetto politico ed esperimento educativo (1848-1859), Milano, Unicopli, 2010, pp. 117-391; M.C. Morandini, Tra pubblico e privato. Carlo Boncompagni educatore e ministro, Milano, Educatt, 2012.