Stuparich Carlo

Professioni: Scrittore
Ambiti di produzione: Letteratura italiana, pedagogia
Luoghi di attività: Friuli Venezia Giulia

Nato a Trieste il 3 agosto 1894, Carlo Stuparich completò gli studi secondari nella città natale e nel 1913 seguì il fratello Giani a Firenze, per frequentare la facoltà di Lettere e Filosofia, divenendo ben presto parte attiva del movimento vociano di Giuseppe Prezzolini. È annoverato tra i «triestini erranti», insieme al goriziano Michelstaedter, Slataper, Biagio Marin, Giotti, Saba, Giorgio Fano ed al fratello Giani, tutti vociani, i quali, con il contributo fecondo della cultura fiorentina, consentirono, secondo un giudizio ormai consolidato, alla letteratura triestina di uscire da «un carduccianesimo lapidario e lirico-patriottico», per muoversi verso una «visione moderna di natura naturalistica e mitteleuropea».

Allo scoppio della Grande guerra, si arruolò come volontario, con il fratello e l'amico inseparabile Scipio Slataper, combattendo sul Carso di Monfalcone e ad Asiago. La sua opera di letterato, esaurita nell'arco di un solo quinquennio (1911-1916), è stata valorizzata dalla ristampa, a cura di F. Salimbeni, del volume Cose ed ombre di uno (1919), nel quale Giani aveva raccolto gli scritti del fratello.

L'atteggiamento pedagogico dello S. è raccolto in due saggi brevi, nei quali si propose di rispondere alla domanda «che cos'è la pedagogia moderna». Nel primo scritto (L'educazione come attualità in «La Voce degli insegnanti», febbraio-marzo 1914, pp. 64-65) vengono discussi i due assiomi tradizionali della pedagogia: il principio che la scuola debba essere «una preparazione alla vita» e l'idea che l'insegnamento sia una sorta di «ammaestramento dei novizi». Al contrario, tutto andava fatto rientrare nella vita e l'educazione non poteva essere che arte maieutica, gestita nell'ottica della «triestinità» e cioè dei valori propri della tradizione locale.

Nel secondo saggio (Scienza e conoscenza, ivi, aprile 1914, pp. 87-88), rispetto a Giovanni Gentile, che negava la didattica come esperienza empitica, sostenne che la pedagogia, conclusa la stagione del positivismo, durante la quale la dottrina pedagogica era stata una sorta di «enciclopedia», un «centone di pseudo concetti fisiologici, antropologici, psicologici, morali», doveva diventare «scienza dell'espressione didattica».

Coperto dalla sua mantellina di granatiere, lo S. si uccise in una trincea di Monte Cengio (Vicenza) per non cadere in mano al nemico, il 30 maggio 1916 e due anni dopo gli fu conferita la medaglia d'oro al valor militare.

[Claudio Desinan]

Bibliografia: V. Frosini, Carlo Stuparich, in «Il Ponte», aprile 1964, pp. 392-395; B. Maier, Carlo Stuparich e «l'esame di esistenza», in O.H. Bianchi et al., Scrittori triestini del Novecento, Trieste, LINT, 1968, pp. 183-190; G. Titta Rosa, Vita letteraria del Novecento. Saggi e profili, Milano, Ceschina, 1972, vol. II, p.115; E. Pellegrini, La Trieste di carta. Aspetti della letteratura triestina del Novecento, Bergamo, Lubrina, 1987, p. 53; V. Frosini, La famiglia Stuparich. Saggi critici, Udine, Del Bianco, 1991, pp. 21-30 e 133-141 (con la ristampa dei due articoli pedagogici dello S.); F. Salimbeni, Prefazione, in C. Stuparich, Cose e ombre di uno, Trieste, Istituto giuliano di storia, cultura e documentazione, ristampa 2001, pp. 7-20.