Mancuso Elvira

Professioni: Maestra, scrittrice
Ambiti di produzione: Educazione femminile, letteratura italiana
Luoghi di attività: Sicilia

Nata il 15 dicembre 1867 a Caltanissetta da Giuseppe e Rosa Rocchetti, Elvira Mancuso poté godere della sicurezza e della protezione di un'agiata famiglia di condizione borghese, entro la quale, il padre si distingueva per l'onorabilità della sua professione legale e per il sentimento patriottico che lo aveva condotto ad unirsi fieramente all'esperienza garibaldina.

Dopo il conseguimento della patente magistrale di grado superiore, la M. ottenne presso l'università di Palermo, il diploma abilitante per l'insegnamento di Lettere nelle scuole secondarie tecniche e normali. Autodidatta nell'apprendimento della lingua francese, si guadagnò l'indipendenza economica attraverso lunghi anni di lezioni private in casa.

Esordì come autrice nelle pagine di «Cordelia», nel 1890, scrivendo novelle d'intrattenimento per un pubblico femminile. Per conseguire il ruolo effettivo nell'insegnamento dovette attendere la svolta del secolo. Dopo vari incarichi di supplenza, ottenne la prima cattedra da titolare nell'anno scolastico 1909-1910 presso la scuola normale di Piazza Armerina, per poi passare in via definitiva come insegnante di Lettere nelle scuole tecniche di Caltanissetta.

I primi del '900 furono gli anni cruciali per la definizione della vicenda intellettuale della scrittrice nissena. Nel 1906 consegnò alle stampe la sua prova letteraria più ambiziosa: Annuzza la maestrina, un romanzo a tinte forti in cui si fondevano le residue cariche di energia della grande tradizione verista siciliana e il colore acceso di cruente scene rusticane. Ma, in sintonia con gli accenti diffusi nella letteratura contemporanea, il romanzo della M. era anche la rappresentazione decadente di una storia di donna infelice ed esclusa, esempio di innumerevoli ritratti di sfortunate eroine – vittime predestinate allo scacco per via di condizionamenti sociali insuperabili – dei cui tristi casi e della cui malinconiche afflizioni si alimentava non poca scrittura letteraria del tempo, specialmente di pugno femminile.

L'aspetto singolare consisteva nel fatto che, nella narrazione della M., l'eroina sconfitta era una giovane maestrina, nella cui tragica vicenda si riassumeva tutto il senso di frustrazione che la società rigettava sulle spalle di una donna sola e disarmata: l'aspirazione all'autonomia manifestata dalla giovane protagonista, affidata unicamente alla speranza di conseguimento di un titolo d'insegnante elementare, doveva coincidere nel romanzo con il sacrificio della sua stessa energia e del suo diritto a vivere.

Nel romanzo della M., la giovane Annuzza rinuncia ad un sereno e promettente fidanzamento, che l'avrebbe garantita a vita riguardo alla sicurezza materiale ed alla devozione di affetti mostratale dal buon Pasquale, per inseguire il sogno di portare a termine un corso di studi finalizzato a fare di lei un'onesta maestra. Impossibilitata dalle sue povere condizioni a seguire autonomamente gli studi, Annuzza accetta il sostegno economico di Pasquale, che devotamente l'attende per riaverla al termine degli anni di collegio. Ma a studi conclusi, Annuzza preferisce riscattare la sua situazione, ripagando materialmente il debito e scegliendo per sé per l'agognato futuro da maestra, piuttosto che riconsegnare la sua sorte nella mani del giovane e rassegnarsi all'implicita prelazione esercitata dall'uomo sulle sue opzioni di vita. L'epilogo, inatteso, segna l'amara fine di Annuzza, uccisa al colmo d'uno scatto d'ira per mano del fidanzato deluso, pronto a ristabilire con l'atto di violenza la primigenia supremazia maschile.

Pur ricevendo positive attestazioni di stima e segnalazioni favorevoli, anche da recensori importanti come Luigi Capuana, il libro non incontrò il successo sperato e rappresentò il definitivo isolamento della M. in una dimensione di provincia. Nel 1907 ebbe ancora occasione di rappresentare al pubblico i temi che sentiva più a cuore con il discorso tenuto il 14 aprile a Caltanissetta, Sulla condizione della donna borghese in Sicilia. Era un nuovo grido disperato per rivendicare alle donne il riconoscimento di una posizione sociale indipendente e dignitosa quando questa fosse guadagnata con la fatica degli studi e con il mettere a frutto le doti dell'ingegno. Era allo stesso tempo un invito allo scuotimento rivolto alle donne siciliane perché non si rassegnassero a subire un ruolo di magre comparse in seno alla società civile e, parimenti, un appello a voler considerare l'educazione quale vera ed unica dote personale pienamente disponibile e fruttuosa, mai soggetta ad espropriazione per mano altrui.

Sempre più distaccata, continuò nubile e solitaria la sua professione di insegnamento fino al pensionamento, nel 1935. Trascorse la vecchiaia ritirata in convento, quasi dimenticata, e ormai distante dai precedenti trascorsi di vita pubblica. La M. morì ultranovantenne l'11 febbraio 1958 nella città natale.

[Letterio Todaro]

Fonti e bibliografia: S. Salomone, La Sicilia intellettuale contemporanea, Catania, Tip. Galati, 1913, pp. 292-293.

S.S. Nigro, Postfazione a E. Mancuso, Vecchia storia... inverosimile, Palermo, Sellerio, 1990, pp. 163-179; R. Verdirame, Polemiche e «bagattelle» letterarie tra Otto e Novecento, Catania, CUECM, 2009.