Mamiani Della Rovere Terenzio

Professioni: Professore universitario, ministro P.I., uomo politico
Ambiti di produzione: Filosofia, letteratura italiana, pedagogia, politica scolastica
Luoghi di attività: Marche, Toscana, Francia, Piemonte, Italia

Nato a Pesaro il 28 settembre 1799 da una famiglia d'antica nobiltà, Terenzio Mamiani compì i primi studi nella città natale. Nel novembre del 1816 si trasferì a Roma presso il Seminario romano dietro la vana speranza paterna di avviare il figlio alla carriera ecclesiastica. Invece, nel settembre del 1819, egli fece ritorno a Pesaro, a seguito di un ordine di espulsione per «immoralità» e dopo aver concluso gli studi filosofici superiori senza però conseguire la laurea.

Qui il giovane M. perfezionò la propria formazione letteraria e politica, pubblicando le prime poesie e frequentando gli ambienti della carboneria. Nel 1826, decise di partire per Firenze, dove entrò in relazione con il gabinetto scientifico-letterario di Gian Pietro Vieusseux e con intellettuali quali Giacomo Leopardi (peraltro suo parente), Alessandro Manzoni, Gino Capponi, Niccolò Tommaseo e Raffaello Lambruschini, a contatto con i quali maturò una posizione politica e religiosa riconducibile ai valori del cosiddetto «cattolicesimo liberale» (il M. non fu mai tenero verso l'ambiente clericale).

Ottenuta nel 1827 la nomina a professore-ripetitore di eloquenza nell'Accademia militare di Torino, l'anno successivo fu costretto a tornare a Pesaro per la morte del padre. Partecipò attivamente ai moti rivoluzionari del 1831 (fu ministro dell'Interno nel governo delle Province unite a Bologna) ma, dopo una prigionia di quattro mesi nelle carceri austriache di Venezia (qui scrisse l'Inno ai patriarchi), fu condannato all'esilio perpetuo e si rifugiò in Francia.

Nei sedici anni parigini, visse insegnando Lingua e cultura italiana, coltivando la poesia (Inni sacri, 1832; Nuove poesie, 1835) e soprattutto la filosofia (Del rinnovamento della filosofia antica italiana, 1834) e mantenendo stretti rapporti con noti esuli italiani, tra i quali Giuseppe Mazzini, il cui pensiero fu tuttavia ritenuto da Mamiani «temerario ed utopico». All'ideale fortemente unitario del ligure, infatti, il pesarese, sostenitore di un risorgimento a carattere liberal-democratico e moderato, contrapponeva un programma federale, più consono alla storia civile della penisola, e nel quale rivestiva – in questo con tratti assonanti con il Mazzini – un ruolo fondamentale l'educazione etico-politica delle «plebi» nonché l'emancipazione economica e sociale del popolo minuto (Nostro parere intorno alle cose italiane, 1839).

Riammesso in Italia nel 1847, il 1° maggio 1848 fu nominato a Roma ministro dell'Interno nel gabinetto Ciacchi ma, a causa di accentuati dissidi con Pio IX (il M. propendeva per la separazione tra potere temporale e spirituale), si dimise ad agosto. Durante il breve incarico, presentò, seppur vanamente, un disegno di legge relativo alla fondazione di un ministero della Pubblica beneficenza volto all'educazione del popolo (Discorso al Parlamento, 28 giugno 1848).

Si trasferì quindi a Torino dove promosse insieme a Vincenzo Gioberti la Società della Confederazione italiana, mentre nell'autunno del 1848 tornò a Roma per guidare il ministero degli Esteri nel gabinetto Muzzarelli. Anche in questo caso l'esperienza fu breve (appena un mese). I clericali, restaurato il governo pontificio, lo accusarono di essere il principale responsabile dell'esilio di Pio IX nonché della proclamazione della Repubblica.

Iniziò così nel luglio 1949 quello che il M. stesso definì il suo «secondo esilio» (prima a Marsiglia, poi a Genova). Nel 1855 ottenne la cittadinanza sarda grazie al personale interessamento di Cavour che lo volle al suo fianco in Parlamento (fu eletto deputato nel 1856). Nel 1857 fu nominato ordinario di Filosofia della storia presso l'università di Torino (nel 1871 ricoprirà la stessa cattedra a Roma).

Il 20 gennaio 1860 Cavour lo chiamò a reggere il ministero della P.I. in una fase politica particolarmente complessa, nel momento cioè in cui si stava realizzando l'unità del paese. Rimase nell'incarico fino al 22 marzo 1861. Consapevole di non poter modificare la legge Casati da poco approvata, ma desideroso altresì di contrastare il centralismo della scuola piemontese e di dar vita a una scuola «italiana» rispettosa delle tradizioni locali e della libertà di insegnamento, il M. presentò ben nove progetti di legge per modificare un «impianto» ritenuto dal M. già superato dall'incalzare degli eventi politici allora in corso.

Questi propositi, perseguiti d'intesa con il ministro dell'Interno Marco Minghetti in vista di un'Italia cautamente «federale», non ebbero tuttavia seguito in specie per le difficoltà incontrate dall'amministrazione del nuovo Stato nell'ex regno borbonico e il conseguente timore che la fragile unità appena raggiunta potesse subire gravi contraccolpi qualora si fosse attenuato il potere del governo centrale.

Maggiore fortuna ebbero altri provvedimenti più settoriali: la rivalutazione del ruolo degli archivi e l'apertura di una scuola speciale di archivistica, la formazione di una nuova pianta organica del personale del ministero, l'istituzione di una consulta sulle Belle arti e soprattutto la chiamata alla cattedra universitaria di personalità di spicco quali Giosué Carducci, Isaia Ascoli, Bertrando Spaventa e altri, decisione dietro cui occhieggiavano le logge massoniche allo scopo di innervare di valori laici la cultura del nuovo Stato.

Lasciato il governo, il M. intraprese la carriera diplomatica (fu ministro plenipotenziario in Grecia, quindi nella Confederazione elvetica); nominato senatore del Regno (1864), fu anche relatore per la legge sulle Guarentigie (1871) e vice presidente del Consiglio superiore della P.I. (1868-1884).

Molto intensa la sua attività di studioso di Filosofia. Insieme a Domenico Berti, nel 1868, fondò la Società promotrice degli studi letterari e filosofici, nonché la rivista «La Filosofia delle scuole italiane». Sintesi del suo pensiero (che passò dall'empirismo iniziale a un ingenuo platonismo), furono i due volumi editi nel 1865 a Firenze con il titolo Confessioni di un metafisico. Dedicò gli ultimi anni della vita a un'attenta riflessione sul senso della religione e sull'operato della Chiesa cattolica (Della religione positiva e perpetua del genere umano del 1880). Il M. morì a Roma il 21 maggio 1885.

[Luigiaurelio Pomante]

Fonti e bibliografia: Biblioteca Oliveriana, Pesaro, fondo Mamiani.

DA, p. 1398; DBI, vol. LXVIII, pp. 389-396; DBMa, pp. 307-308; DEP, pp. 204-206; IBI, p. 2127; PE, pp. 277-278.

E. Colini, Notizie della vita e delle opere di Terenzio Mamiani, Jesi, Tip. Ruzzini, 1885; P. Sbarbaro, La mente di Terenzio Mamiani, Roma, Edoardo Perino, 1886; D. Gaspari, Terenzio Mamiani Della Rovere, Ancona, Morelli, 1888; N. Bianchi, Della vita e delle opere di Terenzio Mamiani, Pesaro, Federici, 1896; T. Casini, La gioventù e l'esilio di Terenzio Mamiani, Firenze, Sansoni, 1896; G.B. Gerini, Gli scrittori pedagogici italiani del sec. XIX, Torino, Paravia, 1910, pp. 193-197; G. Gentile, Le origini della filosofia contemporanea in Italia. I Platonici, Messina, Principato, vol. I, pp. 87-137; A. Carannante, Terenzio Mamiani nella storia della scuola italiana, in «Cultura e scuola», 1992, n. 122, pp. 199-210; A. Brancati, G. Benelli, Divina Italia. Terenzio Mamiani Della Rovere: cattolico liberale e il risorgimento federalista, Ancona, Il lavoro editoriale, 2004.