Gentile Giovanni

Professioni: Professore, professore universitario, ministro P.I.
Ambiti di produzione: Fascismo, filosofia, pedagogia, politica scolastica
Luoghi di attività: Sicilia, Italia

Giovanni Gentile nacque a Castelvetrano (Trapani) il 29 maggio 1875. Dopo gli studi scolastici compiuti in Sicilia, si laureò in Filosofia alla Normale di Pisa nel 1897 con una tesi, poi pubblicata con il titolo Rosmini e Gioberti (1898). Nel 1899 diede alle stampe il saggio La filosofia di Marx. Professore nei licei, nel 1902 divenne libero docente in Filosofia teoretica e nel 1903 anche in Pedagogia.

Nel 1903, con Benedetto Croce – con cui stabilì un lungo sodalizio, poi drammaticamente chiuso all'avvento del fascismo –, fondò «La Critica». Dal 1906 fu professore di Storia della filosofia all'università di Palermo, ove animò una sua scuola filosofica ( Vito Fazio-Allmayer, Giuseppe Saitta, Adolfo Omodeo e altri) e soprattutto elaborò una sua concezione speculativa, l'attualismo, i cui capisaldi sono già nei saggi raccolti in La riforma della dialettica hegeliana (1913). Ivi, dissolvendo ogni forma di dualismo e di «distinguo», il G. risolveva tutta la realtà nel pensiero in atto: ogni processo conoscitivo era atto di autocoscienza.

In quegli anni d'inizio '900 partecipò ai dibattiti sulla riforma scolastica allora in corso e, seppur marginalmente, alla vita associativa dei docenti secondari, raccogliendo nel volume del 1908, Scuola e filosofia, i saggi pubblicati in materia. Collaborò, inoltre, alla rivista «Nuovi doveri» (SPES, n. 755), uno dei periodici scolastici più importanti del tempo, diretta dall'amico Giuseppe Lombardo Radice.

Tra il 1913 e l'anno seguente pubblicò il Sommario di pedagogia come scienza filosofica, in cui sulla base dell'attualismo enunciava l'identificazione di filosofia e pedagogia, nel senso che la conoscenza del sapere non poteva essere distinta dalla sua comunicazione. Il ruolo dell'insegnante era innalzato a formatore di coscienze più che di accorto trasmettitore di nozioni nella prospettiva dell'autoeducazione del discente che, attraverso i tre momenti della didattica dell'arte (primato del soggetto; scuola elementare), della religione (primato dell'oggetto o nozione; scuola secondaria), della filosofia (sintesi di soggetto e oggetto; università) diveniva processo formativo inteso come affermazione nel soggetto all'interno del contesto in cui viveva.

Nel 1914 il G. si trasferì a Pisa, sulla cattedra di Filosofia teoretica, e nel 1916 pubblicò la Teoria generale dello spirito come atto puro, una delle sue opere fondamentali: il pensiero è «atto in atto», non è possibile concepire l'Io come oggetto di sé medesimo se non in astratto; la vera attività pensante non è quella che si definisce, bensì lo stesso pensiero che definisce.

Allo scoppio della Grande guerra il G. si schierò per l'intervento, concependo la guerra come la conclusione dell'epopea risorgimentale e come verifica della consistenza della coscienza nazionale, che non riteneva assicurata dalla positivistica «scuola neutra». La rotta di Caporetto fu così interpretata come una conseguenza del fallimento dell'educazione statale.

Di qui in poi si moltiplicarono i suoi sforzi per «ridare un'anima» alla scuola italiana, riprendendo alcuni motivi già enunciati in precedenza, rilanciati negli articoli pubblicati durante il conflitto, poi raccolti in Guerra e fede (1919) e Dopo la vittoria (1920) e in saggi dell'immediato dopoguerra (La riforma dell'educazione, 1920). Nel frattempo (1917) passò all'università di Roma, sulla cattedra di Storia della filosofia, occupando, poi, dal 1926 la cattedra di Filosofia teoretica. In quello stesso 1917 apparve il primo volume del Sistema di logica come teoria del conoscere, a cui, seguì nel 1923 il secondo volume.

A fine ottobre del 1922 fu chiamato da Mussolini come ministro della P.I. e il 5 novembre fu nominato senatore. In pochi mesi, all'inizio del 1923, realizzò la più organica riforma della scuola mai compiuta in Italia, rimasta sostanzialmente il perno dell'istruzione e dell'università italiana per larga parte del XX secolo. Tra i capisaldi della riforma: la centralità formativa assegnata alla cultura umanistica; la divisione degli istituti medi in primo e secondo grado; la nascita dell'istituto magistrale e del liceo scientifico; l'affermazione della libertà d'insegnamento; l'obbligo dell'istruzione esteso al quattordicesimo anno di età; la funzione indicativa dei programmi ministeriali con la contestuale creazione dell'esame di Stato; la concorrenza tra scuola di Stato e scuole private legalmente riconosciute; la valorizzazione della cultura religiosa come parte del patrimonio culturale comune con l'insegnamento della religione cattolica nella scuola elementare (gli elementi fondamentali della riforma si possono leggere in La riforma della scuola in Italia, 1932; gli scritti a margine dell'esperienza ministeriale si trovano in La nuova scuola media, 1925).

Dopo la sua adesione al fascismo, nel 1924 rassegnò le sue dimissioni da ministro e attraverso la redazione (1925) del Manifesto degli intellettuali fascisti agli intellettuali di tutte le nazioni diventò di fatto il teorico del fascismo che egli cercò, in vari saggi, di realizzare come Stato etico, sintesi delle volontà particolari nell'unità organica in fieri dello Stato. In questo modo giudicò possibile la continuità e il compimento degli ideali risorgimentali.

Di qui in poi – ormai riconosciuto come un caposcuola (suoi allievi romani furono Ugo Spirito, Luigi Volpicelli, Guido Calogero) – rivolse il suo impegno principalmente verso l'attività culturale attraverso la quale egli reputò, dopo la riforma della scuola, di contribuire alla crescita culturale e civile del Paese, non mancando con puntuali interventi di denunciare i vari tentativi di indebolire il progetto messo a punto nel 1923 (ved. Educazione e scuola laica, 1932 e 1937).

Nel 1925 fu promotore e presidente dell'Istituto nazionale fascista di cultura; sempre nel 1925 promosse la nascita dell'Enciclopedia Italiana di cui diventò il direttore scientifico; nel 1932 fu chiamato a dirigere la Scuola normale superiore di Pisa e inaugurò l'Istituto nazionale di studi germanici, di cui divenne presidente nel 1934. Fu inoltre direttore di riviste scientifiche e importanti collane nonché animatore di iniziative editoriali (come la casa editrice Sansoni di Firenze).

L'imponente attività culturale non avvenne senza contrasti. Innanzitutto, dopo i Patti lateranensi del 1929, da lui osteggiati perché considerati una diminutio dell'autonomia dello Stato, si sviluppò un aspro contrasto con i cattolici che pure a lungo avevano guardato a lui come a un alleato contro il naturalismo positivistico. Una frattura che nel 1934 vide il S. Uffizio mettere all'Indice le sue opere. Vi fu altresì una talvolta latente, ma costante, polemica con alcuni ambienti fascisti che non ne condividevano l'impianto filosofico e soprattutto ne contrastavano l'intraprendenza politica.

Negli anni difficili della guerra, il 24 giugno del 1943 in Campidoglio, con il Discorso agli italiani, esortò all'unità nazionale. Giudicando non poter rinnegare il suo passato, aderì nel novembre 1943 alla Repubblica di Salò, diventando presidente dell'Accademia d'Italia. La sua attività, volta alla pacificazione nazionale, non impedì che il 15 aprile 1944 fosse assassinato a Firenze da un gruppo di partigiani comunisti. Postumo (1946) fu pubblicato il suo volume Genesi e struttura della società, in cui elaborò il concetto di umanesimo del lavoro.

Teoretico e storico della filosofia di altissimo livello (Le origini della filosofia contemporanea in Italia, 1917-1923, 4 voll.; Studi vichiani, 1927, 2a ediz.; Storia della filosofia italiana dal Genovesi al Galluppi, 1937, 2a ediz.; Il pensiero italiano del Rinascimento, 1940, 3a ediz.), il G. ha fortemente influenzato la cultura italiana oltre gli anni del fascismo, divenendo un costante punto di riferimento, anche se talvolta polemico.

[Hervé A. Cavallera]

Fonti e bibliografia: l'archivio del G. è conservato presso la omonima Fondazione per gli studi filosofici, Roma cui si deve la pubblicazione delle sue opere (55 voll., Firenze, Sansoni, poi Firenze, Le Lettere).

DBI, vol. LIII, pp. 196-212; DEP, vol. II, pp. 443-448; DSE, vol. I, pp. 462-464; EF (ed. Centro di studi filosofici di Gallarate, 1957), vol. II, pp. 631-643; EIPS, vol. II, pp. 504-506; EP, vol. III, cc. 5341-5348; IBI, p. 1663; PE, pp. 229-234; SPES, n. 755.

Limitatamente ai testi più recenti: U. Spirito, Giovanni Gentile, Firenze, Sansoni, 1969; A. Negri, Giovanni Gentile, Firenze, La Nuova Italia, 1975, 2 voll.; Enciclopedia '76-'77. Il pensiero di Giovanni Gentile, Roma, Istituto della enciclopedia italiana, 1977, 2 voll.; G. Pedullà, Il mercato delle idee. Giovanni Gentile e la casa editrice Sansoni, Bologna, Il Mulino, 1986; A. Del Noce, Giovanni Gentile, Bologna, Il Mulino, 1990; «Giornale critico della filosofia italiana», 1994, nn. 2-3 (fascicolo monografico su Croce e Gentile); H.A. Cavallera, Immagine e costruzione del reale nel pensiero di Giovanni Gentile, Roma, Fondazione «U. Spirito», 1994; Id., Riflessione e azione formativa: l'attualismo di Giovanni Gentile, Roma, Fondazione «U. Spirito», 1994; G. Sasso, Filosofia e idealismo. Giovanni Gentile, Napoli, Bibliopolis, 1995; G. Turi, Giovanni Gentile. Una biografia, Firenze, Giunti, 1995; G. Spadafora, Giovanni Gentile. La pedagogia, la scuola, Roma, Armando, 1997; G. Verucci, Idealisti all'Indice. Croce, Gentile e la condanna del Sant'Uffizio, Roma-Bari, Laterza, 2006; H.A. Cavallera, Ethos, Eros e Thanatos in Giovanni Gentile, Lecce, Pensa Multimedia, 2007; Id., L'immagine del fascismo in Giovanni Gentile, Lecce, Pensa Multimedia, 2008; A. Tarquini, Il Gentile dei fascisti. Gentiliani e antigentiliani nel regime fascista, Bologna, Il Mulino, 2009.